MAHOTSAVA LA FESTA DEI CARRI DIVINI
Museo delle Culture (MUSEC), Lugano
Fino al 10 marzo

Durante un lungo viaggio nel sud India, agli inizi degli anni Ottanta, avevo scoperto nei cortili dei templi o parcheggiati nelle strade dei villaggi dei grandi carri di legno su ruote ricoperti di formelle che mi avevano colpito per i loro innumerevoli soggetti e la qualità artistica. Queste imponenti strutture su ruote vengono portate in processione con la statua della divinità prelevata dal santuario del luogo e posta sul carro. Me ne ero innamorato e avevo cercato di informarmi sulla tradizione dei carri e sul significato delle loro sculture in previsione di una mia mostra sulla scultura lignea indiana ma non avevo trovato una sufficiente documentazione.
Dopo quarant’anni visitare “Mahotsava, la Festa dei Carri divini” curata dall’indologa Giulia R. M. Bellentani mi ha permesso di svelare un segreto e di realizzare un sogno per interposta persona. Dopo quarant’anni visitare “Mahotsava, la Festa dei Carri divini” curata dall’indologa Giulia R. M. Bellentani mi ha permesso di svelare un segreto e di realizzare un sogno per interposta persona. Giulia Bellentani ha dedicato sedici anni a questa ricerca con lunghi soggiorni nei luoghi dove questi carri, veri templi mobili, vengono tuttora utilizzati.

Ha dovuto superare le domande che le ponevano i brahmini del tempio di Chidambaram, in Tamil Nadu, perché solo chi ha un certo grado di conoscenza dell’induismo e del sanscrito può essere ammesso, come in un percorso iniziatico, a conoscere i segreti e il significato di questa sacra tradizione. Questa mostra permette di conoscere per la prima volta in modo esauriente, attraverso 42 opere e fotografie scattate sul luogo, la secolare tradizione dei carri che trasportano la statua di una determinata divinità lungo le strade del paese in occasione della più importante celebrazione religiosa dell’anno.

L’esposizione si apre con le statue policrome di due cavalli rampanti posti sul fronte del carro come per trascinarlo idealmente e immediatamente dietro si vede la statua di un cocchiere che li governa. Talvolta i cavalli hanno le ali per suggerire che si tratta di carri celesti, dove solo gli dei possono risiedere. Queste come tutte le opere che decorano un carro processionale sono opere di grande realismo che permettono ai fedeli di trascendere dal mondo profano della vita quotidiana per accedere a quello sacro e immateriale della divinità posta sull’altare del carro.

I carri sono composti di due parti, quella inferiore, che poggia su massicce ruote di legno, è costituita da una struttura alta alcuni metri che termina con una piattaforma sulla quale è costruito – con canne di bambù o di metallo – un padiglione ricoperto di stoffe sgargianti, spesso dipinte con le immagini degli dei. Mentre la struttura di base non viene mai smontata, il padiglione è costruito solo in occasione della processione  e poi smontato. Al suo interno viene posto un altare con la statua della divinità che è considerata l’incarnazione vivente, reale, del dio e non la sua rappresentazione ed è quindi la sua energia che egli irradia verso i devoti. Quando il carro non è allestito per essere portato in processione viene lasciato lungo le strade vicine al tempio e spesso venditori ambulanti si insediano nello spazio tra le ruote per esporre la propria merce dato che senza la statua del dio il carro perde la propria sacralità.

La struttura del carro ha la stessa forma di un tempio in pietra e rappresenta simbolicamente il potere universale della divinità che dal chiuso del suo sacello si diffonde, trasportato dal carro-tempio, a tutto il territorio che lo circonda. Nella seconda sala della mostra sono appunto esposti due rari modelli in miniatura di carri processionali che danno l’idea delle dimensioni delle varie parti.

Come Giulia Bellentani spiega bene nelle pagine del catalogo e nelle schede che accompagnano il visitatore lungo il percorso della mostra la costruzione dei carri, come quella dei templi “immobili” deve rispettare rigide regole rituali che vanno dalla scelta dell’albero dal quale si ricava il legname per il carro, alla decisione del giorno che l’astrologo riterrà propizio per l’inizio del lavoro, alla scelta degli artigiani che come veri iniziati devono costruirlo secondo i crismi della sacralità. Come le pareti dei templi del sud India sono un tripudio di statue così quelle dei carri sono ricoperte da centinaia di formelle, mensole e sculture con i più svariati soggetti. Molte rappresentano le molteplici manifestazioni di divinità stanti come icone o anche in azione, altre raccontano le loro mitologiche gesta, i loro amori e le battaglie con i demoni (asura), altre ancora mostrano animali mitologici dall’aspetto feroce che gli dei hanno domato e trasformato in fieri protettori.

Alcune formelle particolarmente lunghe e scolpite con grande realismo sono veri e propri affreschi in rilievo che raccontano episodi della Bhagavadgita.

Tra le numerose opere esposte mi hanno colpito alcune formelle che mostrano altrettanti momenti di un parto e dalla straordinaria qualità di altri rilievi di soggetto erotico dove i corpi abbracciati in acrobatiche posizioni del Kamasutra sono veri capolavori della scultura indiana.

“Mahotsava la Festa dei Carri” è una mostra importante per la sua unicità, frutto del lungo e appassionato lavoro di studio e ricerca di Giulia Bellentani. Opere dei “templi mobili” sono state talvolta inserite nelle mostre sull’arte indiana ma mai in modo così esauriente come al MUSEC.

Renzo Freschi

P.S. Ho inserito in questo articolo fotografie di carri che ho scattato quando li scoprii oltre quarant’anni fa e quella con il minuscolo ciclista sovrastato dal più grande ratha indiano di Tiruvarur -alto 30 metri e tuttora in opera- così come le foto di Giulia Bellentani pubblicate sul catalogo, dimostrano come questa tradizione sia ancora viva e praticata dai fedeli come fondamento della loro fede e della loro identità.
https://www.musec.ch/espone/esposizioni/tutte-le-esposizioni/I-carri-degli-d-i.html

Renzo Freschi
info@renzofreschi.com
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