LA BARCA DI MARMO CHE DALLA CINA ARRIVO’ SENZA NAVIGARE IN ITALIA
di Renzo Freschi

Potrebbe essere un avvincente romanzo di avventura che ha per attori i più celebri personaggi della storia cinese della seconda metà del ‘900 eppure quello che sto per raccontare è tutto vero e realmente accaduto. Gli attori sono Cixi (l”Imperatrice Vedova” che governò la Cina dal 1861 al 1908), Mao Tse-tung (1893-1976), Chou En-lai (1898- 1976, primo ministro e ministro degli Esteri), Pu Yi  ( 1906 –1967,  ultimo imperatore della Dinastia Qing) e soprattutto Eugenio Benedetti, uno di quegli imprenditori che seppero rendere l’industria italiana del secondo dopoguerra famosa in tutto il mondo.

Tuttavia il personaggio principale di questa storia è la barca interamente di marmo che l’Imperatrice Cixi fece costruire nel 1895. A quei tempi la Cina viveva un imminente declino dilaniata dal conflitto tra una parte della corte favorevole a una modernizzazione e una parte arroccata in un illusorio secolare isolamento. Cixi, sebbene favorevole a una lenta apertura decise tuttavia di utilizzare gran parte dei fondi destinati all’armamento della marina militare per celebrare il suo sessantesimo compleanno con la costruzione sul lago Kunming attiguo al Palazzo d’Estate “ Giardino dell’Armonia Educata” una barca lunga 39 metri interamente di marmo che volle chiamare “La Nave del Sollievo e della Purezza”. Ci vollero parecchi anni prima che gli artigiani completassero l’opera scegliendo il marmo più bianco e luminoso, sagomandolo, traforandolo e alla fine creando un’opera unica al mondo che anche se non poteva navigare era il luogo favorito di Cixi.

La barca originale attualmente sul Lago Kunming, Cina.

Passarono gli anni, l’imperatrice scelse il suo successore, Pu Yi, l’Ultimo Imperatore mirabilmente descritto nell’omonimo film di Bernardo Bertolucci, quindi morì e la Cina iniziò il suo calvario di invasioni da parte del Giappone, delle Potenze occidentali e anche di una lunga e devastante guerra civile. Passarono ancora gli anni, Mao Tse Tung sconfisse Chiang Kai-shek (1887- 1975) che si rifugiò a Taiwan, la Cina divenne una nazione comunista che faticosamente cercava di risollevarsi e di ricostruire la propria economia. E infine arrivarono gli anni ’60 con la “rivoluzione culturale” e le devastazioni che le Guardie Rosse commisero verso persone e cose che ricordavano un passato da cancellare. Fu proprio in quegli anni tragici che entra in scena Eugenio Benedetti che in questo romanzo si potrebbe definire il “deus ex machina” che compì l’impossibile. Bendetti arriva a Pechino nel 1965 per vendere le migliori macchine dell’industria italiana, come aveva già fatto con enorme successo con la Repubblica Sovietica dove era anche diventato amico di Kruscev. Unico ospite occidentale in una Pechino desolata, ha un lasciapassare che gli permette di andare ovunque e scopre nel Palazzo d’Estate  la famosa barca di marmo fatta costruire da Cixi. Come stregato da quel luogo di pace e dal candore della barca torna spesso a visitare i padiglioni dai nomi poetici come usa nella tradizione cinese  e un giorno incontra una figura vestita di bianco dal portamento aristocratico: era Pu Yi l’ultimo imperatore divenuto per volontà di Mao giardiniere del Palazzo d’Estate.

Benedetti e “il Figlio del Cielo” si videro più volte parlando dei millenari rapporti tra la Cina e l’Italia che egli aveva visitato a lungo; l’imprenditore sente di essere testimone della Storia: davanti ai suoi occhi la barca rappresenta il passaggio dalla Cina millenaria dell’Imperatrice Vedova a quella attuale di Pu Yi, ultima incarnazione di una dinastia detronizzata. Decide quindi di salvarla dalla probabile distruzione  delle Guardie Rosse e chiede al Governo Rivoluzionario di acquistarla. Il permesso viene concesso ma le difficoltà logistiche ne impediscono il trasporto.

Bendetti torna al lavoro e ottiene l’incarico di asfaltare le strade che lungo l’antica Via della Seta collegano la Cina al Nepal e al Pakistan,  poi Chu Enlai , uno degli uomini più  potenti del partito comunista, gli affida l’incarico di aprire 34 miniere di marmo nello Hebei dove il materiale è simile per qualità a quello italiano di Carrara. Passano altri anni ma il ricordo della barca non lo abbandona e decide di farne fare una copia lunga tredici metri, esattamente un terzo dell’originale. Il materiale è quello delle miniere e la manodopera è la più esperta nella sua lavorazione. Ci vogliono anni prima che sia pronta, composta da 3000 pezzi (100 tonnellate) che devono essere assemblate solo ad incastro e che riproducono quella cinese in ogni particolare.

Nel frattempo Benedetti acquista una vasta area di bosco sul monte Cimino vicino a Viterbo, non lontano da Roma, dove scopre i resti di una abbazia costruita nel 1150. Il tetto era crollato e 7 alberi erano cresciuti al suo interno. La chiesa era stata un centro di grande fervore religioso,  per alcuni secoli aveva contenuto le reliquie dei capelli della Madonna che i Crociati avevano portato dalla Palestina e numerosi anacoreti si erano ritirati negli anfratti del monte. Vengono rimosse le macerie sino al pavimento originario, le parti mancanti sono ricostruite con il materiale ritrovato sul posto ma vengono lasciati gli alberi e la chiesa ha il cielo come tetto. Benedetti sente che quello è il posto più adatto dove ricostruire la barca di marmo e decide che le sue ceneri saranno tumulate proprio all’interno di quel vascello  che rappresenta simbolicamente  il compimento di una vita vissuta per creare lavoro e per costruire ponti tra le Nazioni.

Nel 2010 dopo anni per il restauro della chiesa e per assemblare tutte le parti del vascello Eugenio Benedetti soprannominato da Kruscev “la colomba” inaugura finalmente alla presenza dell’ambasciatore cinese la sua barca perfettamente identica a quella del Palazzo d’Estate, anzi più completa dato che l’originale aveva subito dei danni per mano delle Guardie Rosse. Gli alberi agli angoli della chiesa le fanno compagnia e chi ha la fortuna di vederla ne coglie la meraviglia. Sulla prua si leggono tre massime di Confucio che Benedetti ha fatto incidere come senso della sua vita: Agisci con Giustizia, Fai il tuo Dovere, Opera il Bene.

Era stato un amico a parlarmi della “Barca del sollievo e della Purezza” sul monte Cimino. La cosa mi sembrava assolutamente straordinaria e per un cittadino milanese come me pensare che qualcuno avesse potuto realizzare un’impresa così unica nei boschi di una regione (la Tuscia) bellissima quanto poco conosciuta era a dir poco incredibile. Dopo varie ricerche sul web avevo finalmente fissato un appuntamento per visitare il luogo dove si trovava la barca dato che ci si arriva lungo una strada impervia in un’area privata.

Mi aveva accolto Gianfranco, genero di Eugenio Benedetti la cui gentilezza è pari alla sua competenza e all’amore che ha per il territorio di cui si occupa, la Tenuta Sant’Egidio, una proprietà di 130 ettari che promuove l’educazione ambientale. Eravamo immersi nel bosco quando vidi la facciata di quella che un tempo era la chiesa della Santissima Trinità. Nel grande portale era stata ricavata una piccola porta in ferro attraverso la quale riuscii a intravvedere la barca. Era mezzogiorno, il sole la illuminava, il marmo brillava, quasi accecante per la purezza del bianco assoluto.

Era davanti ai miei occhi, racchiusa tra le grezze mura di pietra della chiesa che contrastavano con la perfezione immacolata della sua forma. Sfido chiunque a non rimanere a bocca aperta, come estasiato davanti a quel luogo che mescolava natura incontaminata, storia millenaria e la copia di una barca fatta costruire da una imperatrice spietata quanto fine esteta e infine riprodotta per il sogno di un mecenate-visionario che nei suoi viaggi spesso temerari aveva percepito il mistero della vita. Quel luogo che Benedetti aveva ricostruito esattamente come in origine e che conteneva un vascello ugualmente rifatto come l’originale – destinato a contenere le sue ceneri- mi sembrava un atto di fede verso questo mistero. Ero emozionato da ciò che vedevo, felice di essere lì, di poter toccare quelle pietre che avevano assorbito preghiere e devozione e sfiorare quel marmo la cui purezza penetrava pensieri e sentimenti. Era probabilmente la pace che per secoli eremiti e mistici avevano cercato in quel bosco del Monte Cimino.

Renzo Freschi
info@renzofreschi.com
1 Commento
  • amalia del ponte
    Pubblicato alle 22:39h, 19 Settembre Rispondi

    straordinari storia, emozionante.
    fantastico che ci siano persone come Benedetti.
    amalia del ponte

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