
30 Mag Nicolò Manucci “Il Marco Polo dell’India”
Un Veneziano alla Corte Moghul nel XVII secolo
Venezia, Palazzo Vendramin Grimani
Fondazione dell’Albero d’Oro
Fino al 26 Novembre
Immaginate come l’India era descritta dai mercanti e marinai e dagli aristocratici europei che si affacciavano sulle sue coste o intraprendevano avventurosi viaggi nel suo interno: uomini con la testa fasciata da elaborati turbanti, donne come solenni madonne multicolori, processioni di elefanti bardati d’oro, troni tempestati di pietre preziose, regge opulente, harem popolati da splendide creature e poi anche le inaudite stravaganze dei fakiri. Queste descrizioni da favola circolavano ovviamente anche a Venezia, una delle capitali del commercio con il mitico Oriente.
Tutto questo non era noto a un giovane veneziano, figlio di poveri genitori che macinavano le spezie arrivate nella Serenissima dalle isole più lontane, che tuttavia ne respirava i profumi e ne sognava le favole. Nicolò aveva dunque la smania di partire, andare, viaggiare verso qualunque lido per adolescente curiosità e per sfuggire alla miseria familiare.
Così nel 1653, appena quattordicenne, si imbarca clandestino su una nave veneziana diretta in Turchia, viene scoperto e mentre il capitano lo sta probabilmente gettando ai pesci -come a quei tempi si usava con i clandestini- viene salvato da un nobile inglese che lo porta in Persia e poi in India.
E’ l’inizio di una grande avventura coraggiosamente cercata e fortunatamente trovata, che gli permette di essere considerato (ma ahimè solo dopo due secoli dalla sua morte) il più grande viaggiatore veneziano di quei tempi e, come recita il titolo della mostra, definito “Il Marco Polo dell’India”.
Nicolò è un ragazzo intelligente, abile e spregiudicato, come dev’essere ogni avventuriero in un Paese pieno di ricchezze e opportunità ma ancor più di pericoli. A quei tempi gran parte dell’India era dominata dalla dinastia dei Moghul, infinitamente più ricchi e potenti di qualunque re europeo ma anche affascinati, per esotismo al contrario, dagli stranieri che si avvicinavano alla corte imperiale. Rimasto solo dopo la morte del suo protettore inglese, Manucci giunge a Delhi dove viene assunto come artigliere dal figlio dell’imperatore Shah Jahan. Scampato incolume alle atroci e spietate faide della corte Moghul per il controllo del potere, egli arriva fino a Kabul, in Afghanistan, dove riesce per pura fortuna ma anche per acuto intuito a guarire un notabile di corte.
E’ l’inizio della sua seconda professione che lo farà diventare medico di corte e successivamente della terza, come abile negoziatore tra i litigiosi principi Moghul ma anche tra la Dinastia e i vari emissari portoghesi, inglesi, francesi. Ma ciò non gli basta e assume una quarta professione come agente segreto e poi una quinta come produttore di elisir di lunga vita. Infine da anziano, in veste di scrittore, detterà per tanti anni agli scrivani in portoghese, francese e italiano le “Storie do Mogor”: le sue memorie.
Anche i libri che scrive subiscono le sue stesse peripezie. Il primo (Il Libro Rosso), destinato al re di Francia, cade nelle mani di uno scaltro gesuita che ne diventa illegittimo autore con grande e immeritato successo. Dopo due anni Manucci scopre la truffa e depresso e furibondo per essere stato derubato di cinquant’anni della sua vita, ne scrive un secondo (il Libro Nero) che questa volta affida a un frate cappuccino per farlo consegnare al Senato di Venezia, come un ritorno alle origini della sua vita.
Avrei voglia di continuare a raccontarvi le infinite avventure che hanno accompagnato Nicolò per ben 68 anni -ne aveva 82 quando morì nel 1720- permettendogli di conoscere l’India e gli indiani come nessun altro, ma se volete gustarle a fondo vi suggerirei di leggere il bel libro di Marco Moneta “Un veneziano alla corte Moghul” e di visitare la mostra veneziana curata proprio da Marco Moneta e da Antonio Martinelli, fotografo e conoscitore dell’India.
E’ una mostra diversa dalle solite perché non propone opere singole isolate dal loro contesto originale poiché con il suo particolare allestimento, Daniela Ferretti ha cercato di ricreare le atmosfere e le suggestioni di quegli ambienti principeschi e di quelle corti imperiali che Manucci frequentò e conobbe bene. Così nelle sale di Palazzo Vendramin Grimani si succedono raffinate miniature, sontuosi tappeti, suggestivi elementi architettonici di regge Moghul, armi e armature che solo i principi potevano indossare, esclusivi oggetti d’uso, mobili indo-portoghesi, preziosi abiti di corte, carte geografiche dell’epoca e altre meraviglie che raccontano i tempi del nostro avventuroso veneziano. Naturalmente sono esposti anche i libri originali di Nicolò Manucci, aperti sulle pagine delle miniature che illustrano quel mondo favoloso; per giunta, tutte le 130 miniature sono visibili in formato digitale. E’ la prima e probabilmente unica volta che le biblioteche in cui sono custoditi i manoscritti (Marciana di Venezia, Nationale de France a Parigi e Staadbibliotheck di Berlino) hanno concesso di poterli riunire in occasione della mostra. La parte didattica accompagna il visitatore attraverso la lunga vita di Manucci e gli acquarelli di Guido Fuga ne descrivono i momenti più salienti.
Renzo Freschi
Marco Moneta
Pubblicato alle 10:44h, 31 MaggioOttima recensione Renzo!
Marco