I BRONZI REALI DI ANGKOR
un’arte divina
Museo Guimet – Parigi
30 Aprile – 8 Settembre 2025
di Renzo Freschi

“L’arte Khmer, invaghita di misura, di raffinatezza e di gaiezza, aperta a tutte le forme di vita, è fatta di immagini del paese e dei suoi abitanti. Tuttavia, fra le arti dell’Estremo Oriente, ce ne sono poche che siano così accessibili al gusto occidentale. La sua bellezza profonda si impone allo spirito e alla sensibilità senza che sia necessario uno studio preliminare. La sobrietà, l’orrore dell’eccessivo, il senso dell’equilibrio e dell’armonia le consentono di raggiungere un valore universale”. Da “I Khmer” di M. Giteau, ex direttrice del Museo di Phnom Penh, Silvana Editore, 1965. Con questa citazione si apriva il capitolo sull’arte Khmer del mio catalogo “Sculture Mon e Khmer dal VI al XIII secolo (1988), frutto di una fascinazione per questa cultura che dopo quasi quarant’anni è rimasta intatta, nonostante lo studio delle arti asiatiche mi abbia fatto conoscere stili e forme molto diverse, talvolta ugualmente affascinanti e talvolta con aspetti che coinvolgono più la mente che il cuore.

Già nel XVIII secolo missionari e viaggiatori francesi avevano iniziato a esplorare la Cambogia; fu infatti proprio il naturalista francese Henri Mouhot a scoprire le rovine di Angkor Wat, in gran parte ricoperte dalla foresta. Gli scavi archeologici e il restauro di templi e complessi monumentali diede l’opportunità al Governo francese di trasferire in Francia una grande quantità di opere, raggruppate in una spettacolare esposizione permanente all’ingresso del Museo Guimet.

E’ proprio in questo grande spazio che si apre la mostra sui bronzi Khmer con l’opera più suggestiva della collezione:l’imponente statua in bronzo di un Vishnu sdraiato del XI secolo, scoperta nei resti di un tempio posto al centro di un grande invaso artificiale per la conservazione dell’acqua. Dopo un lungo e complesso restauro, questa grande figura fusa a cera persa, alta 123 e lunga 222 cm, mostra pur nella sua incompletezza l’armonia di un corpo che appare sospeso nel tempo. Che emozione girarci intorno, scoprirne i particolari e fermarsi a osservare l’espressione ineffabile del suo volto che, pur con gli occhi aperti, appare trasognato e trascendente.

La mostra prosegue nel seminterrato e si sviluppa in varie sale che illustrano la storia della statuaria in bronzo dal primo millennio a.C. e le avanzate tecniche di fusione per concentrarsi in quel periodo storico, tra il VII e il XV secolo, che vide la formazione, l’affermazione economica e artistica e infine il declino dell’Impero khmer.

Il titolo “I Bronzi Reali di Angkor” prende spunto dalla leggenda secondo la quale tutto ciò che proviene dalla lavorazione dei metalli è prerogativa degli dei e dei re, la loro manifestazione sulla terra. Sono quindi statue e oggetti destinati ai templi pubblici e privati del re, dell’aristocrazia e del clero, anche perché il valore simbolico dei materiali (oro, argento e bronzo spesso dorato) con cui sono fatti rafforzava agli occhi del popolo il potere divino incarnato nei sovrani.

Sono esposte circa 200 opere tra statue e oggetti rituali ed è la più grande mostra mai organizzata sull’arte del bronzo della cultura Khmer, anche grazie al consistente prestito del Museo Nazionale di Phnom Penh. Sono tutte immagini del pantheon hindu e buddhista, le religioni praticate in Cambogia sino al XIII-XIV secolo, quando a seguito del decadimento e poi della scomparsa del potere imperiale, il buddhismo divenne la sola religione del Paese.

La fusione in bronzo permette di ottenere una qualità e una definizione dei dettagli impossibile nella pietra: diademi e gioielli, il panneggio degli abiti e le cinture che li trattengono sui fianchi sono opere di alta gioielleria che rendono queste statue immagini di una natura soprannaturale. Inoltre la fusione a cera persa permette di creare statue con molteplici braccia e in posizioni di danza che fanno lievitare la figura come se si staccasse dalla base.

Le più grandi (alcune sono alte anche 80 cm) erano destinate agli altari centrali del tempio, quelle di dimensioni medie potevano essere trasportate in processione in occasione di celebrazioni particolari, mentre le più piccole venivano poste sugli altari domestici.

Se si considera il notevole numero di templi e complessi sacri disseminati nel territorio cambogiano, la produzione di opere in metallo doveva essere molto consistente. Purtroppo non molte ne sono rimaste perché a seguito del crollo del potere centrale, intorno al XV secolo, molti templi furono abbandonati e molte statue, anche per il valore intrinseco del metallo furono fuse per riutilizzare il materiale in altre forme. Anche per questa ragione la mostra è un’occasione per apprezzare opere uniche, che oltre ad essere oggetti di culto con un valore spirituale rispecchiano la raffinatezza dell’estetica della cultura Khmer.

Renzo Freschi
info@renzofreschi.com
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