20 Mag HIMALAYAN MASKS
Lanfranchi collection
La recensione di Thomas Murray
La recensione di Thomas Murray del libro “Himalayan Masks – Lanfranchi collection” pubblicata sul numero di Maggio-Giugno di Arts of Asia.
TRADUZIONE ITALIANA
“Maschere Himalayane – Collezione Lanfranchi” di Renzo Freschi e Luciano Lanfranchi; pubblicato da Luciano Lanfranchi, 2018 – Intervista al Collezionista, Maschere Tribali Nepalesi, Cronologia delle Esposizioni sulle Maschere Himalayane, 12 Capitoli, Carta Geografica, Bibliografia, 376 pagg., oltre 240 immagini 30,5 x 24,5 cm. Testo in inglese con allegata traduzione italiana – Edizione speciale del Collezionista € 150. Sito: www.renzofreschi.com.
Una collezione d’arte importante è formata dalla convergenza di tanti elementi – grande passione, intuito, conoscenza, discernimento, opportunità, talento, disciplina, fornitori e risorse, oltre a una buona dose di fortuna. E anche un’ottima memoria può aiutare. Senza queste qualità non c’è possibilità di successo e senza determinazione è impossibile entrare al massimo livello del mercato per realizzare il proprio progetto. Ma per chi ha quel che ci vuole, le soddisfazioni intellettuali, emotive e spirituali del collezionare sono un arricchimento di vita e di sicurezza di sé veramente unici. E questa è proprio la storia di Luciano Lanfranchi e della sua collezione.
È con questa premessa che vorrei salutare la pubblicazione di un nuovo libro, Maschere himalayane – Collezione Lanfranchi, un magnifico, eccitante volume che è tanto un fondamentale contributo alla materia che tratta quanto un’elegante esempio di “libro d’arte”. Questo trattato di 376 pagine passa in rassegna oltre 200 delle più belle maschere mai viste di Nepal, Bhutan, India e Tibet. Nell’insieme esse equivalgono a ciò che è stato largamente annunciato come la più bella collezione del mondo di maschere himalayane. Nei volti di queste maschere, pubblicate in grande formato, si distinguono, una accanto all’altra, somiglianze e differenze, rude individualismo e classicismo formale e anche se non parlano esse esprimono ogni tipo di sentimento.
Questo libro è il risultato di una sinergia che si è creata in anni di amicizia e collaborazione tra un grande collezionista, Luciano Lanfranchi e un grande mercante, Renzo Freschi. Il racconto del profondo senso estetico del collezionista, alimentato da anni di studi d’arte, e l’aver avuto una sua personale guida all’acquisizione di pezzi per la collezione, si è combinato con le idee dell’autore primario del volume, Freschi, che ha assunto su di sé il ruolo di curatore, organizzatore e illustratore dei diversi capitoli.
Il libro si apre con l’intervista di Freschi a Lanfranchi: Luciano Lanfranchi – Il Cacciatore d’Arte. Questo meraviglioso e istruttivo colloquio rappresenta al meglio il metodo socratico di lavorare, un dialogo domanda-risposta come mezzo per arrivare alla verità e alla conoscenza. Conoscendosi bene l’un l’altro, le domande di Freschi inducono Lanfranchi a rivelare il modo in cui il suo gusto si è sviluppato, cominciando da una fascinazione per l’arte moderna già in giovane età e continuando con l’interesse per il Presente. Un evento cruciale nella formazione della sua passione per l’Arte Tribale avviene nel 1984 al Museum of Modern Art di New York, in occasione della mostra “Primitivismo nell’Arte del XX Secolo”, dove Lanfranchi vede l’Arte Africana contestualmente al Cubismo e quella Oceanica al Surrealismo. E ne è sbalordito. Il suo mentore è il più grande collezionista italiano di Arte Primitiva, il caro amico Carlo Monzino: che fortuna!
Lanfranchi fa la storia personale della sua collezione, descrive il potere seduttivo che una maschera può avere su di lui e quanto può essere intrigante il modo in cui un intagliatore è in grado di convertire un pezzo di legno o altro materiale in qualcosa di molto diverso e surreale. Spiega che a volte sente che il ruolo è invertito: non è più lui il cacciatore ma è la maschera a cacciare lui. Ma altrettanto importante è per lui “sentire di pancia” il potere di un pezzo. Poi, incoraggiato dalle ben formulate domande di Freschi, Lanfranchi svela ciò che pensa della differenza con il mercato di arte moderna e contemporanea, “in cui il valore monetario prevale sulla qualità artistica”, mentre nel mondo delle maschere himalayane la qualità è ancora il motore fondamentale ed è per questo che lo interessa. Lanfranchi chiude col dire che spera con questo libro, di poter condividere l’avventura e le emozioni che le maschere gli hanno dato. Personalmente, rispondo con un grande augurio di riuscire in questo e lo ringrazio per la saggezza e la profondità della sua intervista.
Il libro contiene alcune delle più famose e celebrate maschere himalayane conosciute ma anche una meravigliosa raccolta di maschere inedite, un capolavoro dopo l’altro! Mentre ormai ben pochi pezzi autentici escono da Kathmandu, la Collezione Lanfranchi è stata composta con opere di collezioni leggendarie e di provenienza ben documentata.
Freschi fornisce ampia documentazione dei seguenti ambiti: storia delle collezioni e del mercato; la ricerca sul campo e il relativo studio; il nome dei pionieri; i primi segni di interesse accademico e i viaggiatori che tra il 1970 e ‘80 si autofinanziavano rischiando i loro modesti fondi per rivendere i loro pezzi nei mercati delle pulci di California, New York ed Europa. Freschi descrive i primi mercanti nepalesi e tibetani, i giovani occidentali che con essi trattavano e anche i primi collezionisti, il loro spirito e le loro motivazioni. Se ne ha tralasciato qualcuno, non è per mancanza di ricerche. Lo spazio a disposizione non consente un resoconto completo, ma questa storia è estremamente ben scritta e comprende le prime esposizioni negli Stati Uniti e in Europa, specialmente a Parigi, Bruxelles e in Italia; il ruolo dei mercanti-studiosi, Eric Chazot, François Pannier, Sylvie Sauvenière, Dominique e François Rabier; i collezionisti come Marc Petit, Max Itzikowitz, Robert Brundage, Lawrence Hultberg, Mort Golub ed io stesso. I personaggi citati per le loro collezioni negli anni più recenti sono Sam e Sharon Singer, Gustavo Gili e Rosa Amoros e Eudald Daltabuit come curatore della Collezione Pons.
Queste descrizioni di Freschi dei personaggi coinvolti sono molto ben documentate e iniziano dal racconto del suo stesso “Viaggio in Oriente”. via terra del 1971. Templi e pagode lo incantano, come le botteghe di antichità, i lavori in legno, i gioielli, gli oggetti rituali e le maschere. Comincia così il suo business personale e la sua andata-e-ritorno in molti viaggi per tanti anni.
Bisogna dire che, nel 1975, le maschere “tribali nepalesi” non erano ancora state scoperte ed erano così antiche che nessuno era in grado di dire in che modo venissero usate. L’uso delle maschere, fatte per rituali conosciuti e sconosciuti – cerimonie, drammi popolari, rappresentazioni di antenati, riti funerari, pratiche tradizionali codificate e altre mai scritte – evidenzia un linguaggio estetico antico quanto la storia delle valli da cui provengono ma allo stesso tempo anche straordinariamente moderno. E tuttora in molti casi è ancora vago il luogo esatto della loro provenienza.
Freschi tiene molto a spiegare che i primi che hanno usato la categoria “Maschere Primitive/Sciamaniche” (termine da me stesso coniato in un articolo del 1995 presente nella bibliografia) avevano solo in parte ragione. Alcune maschere sono senza dubbio primitive, termine che a certi studiosi suona meglio di tribali. Le maschere avevano sicuramente una funzione specifica ma non erano usate dagli sciamani nepalesi (jahkri) intervistati da Freschi, che avevano dichiarato che le maschere non facevano parte del loro paraphernalia rituale. Per cui noi restiamo a corto di termini riguardo alla piena comprensione del “chi, cosa, quando, dove, perché” delle mascherate rituali del profondo Nepal. E’ per questo che Freschi ha evitato speculazioni, sentendo che in questo campo c’è già abbastanza letteratura. Rimane fedele a ciò che è “noto” nella storia del collezionismo, dei collezionisti, delle esposizioni museali e delle gallerie private, così come struttura i 12 capitoli sulla base di tipologie etniche, regionali e morfologiche.
Gli esempi scelti per il suo esame sono classici della loro tipologia oppure assolutamente unici, come nel capitolo 2 (Maschere Pelose) dove è pubblicato l’unico esempio noto di maschera con iscrizione, di cui viene anche fornita una bella traduzione. Due maschere descritte nel capitolo 6 (Maschere Colorate) mostrano come il colore può essere molto efficace in molti modi diversi. Gli esempi di maschere delle Middle Hills (capitolo 9) sono sicuramente tra i più antichi che si sono conservati, mentre una coppia di maschere del capitolo 10 (Coppie) è forse una delle più magnifiche conosciute.
Le maschere himalayane della Collezione Lanfranchi non sono solo straordinarie per la qualità ma anche perché permettono di cogliere lo spirito e l’occhio del collezionista. Lo stesso vale per la competenza di Renzo Freschi, la cui analisi dell’arte storica e la cui curatela sono impareggiabili. Ma se una critica si può muovere, direi che sarebbe stato bello vedere più maschere “classiche” provenienti dai monasteri di cultura tibetana di cui è ricca la collezione Lanfranchi; ma forse questo potrebbe essere l’argomento di un secondo volume?
Le favolose fotografie, di Pietro Notarianni, di queste autentiche grandi opere d’arte e i risultati delle ricerche sul campo degli ultimi vent’anni permetteranno ai lettori una maggiore comprensione del contesto culturale di queste maschere… che pur con radici animistico-sciamaniche sono state fortemente influenzate dal credo religioso indù, buddhiste e bön.
Thomas Murray
Thomas Murray è un mercante di Arte Asiatica e Tribale che pone un accento particolare sulle sculture e i tessili dell’Indonesia e sull’arte animistica derivata dalle altre culture.
Collaboratore di Hali, nota rivista di tappeti e tessili antichi, ha firmato una cinquantina di articoli, come “Demoni e Divinità: la Maschera Himalayana” (1995). Il suo libro “Maschere da terre favolose” (2009) ha perseguito le sue interpretazioni secondo un’ottica junghiana.
Dal punto di vista professionale ha procurato opere d’arte a collezioni di oltre 30 musei.
I suoi libri più recenti sono “Tessili del Giappone” (2018) e “Rarità – Dall’Himalaya alle Hawaii” (2019).
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